lunedì 7 febbraio 2011

Da 'Fashion victims' a 'Fashion activists'

Sappiamo che i mass media gestiscono la comunicazione. Si fa un così gran parlare dei suoi mezzi, ma essa non riguarda solo loro, quei belli utensili. La comunicazione permea tutti i tipi di relazione, per cui anche le nostre quotidiane, che siano di amicizia, di parentela o amore.
Il suo linguaggio ha per parole le immagini e come non sempre il significato di una parola risulta immediato alla prima lettura, così le immagini hanno i loro diversi gradi di comprensione e poi i codici, la simbologia e tutto il resto dell'informazione.
Mai come in quest'era, in cui molte delle nostre relazioni sono gestite dai mezzi di comunicazione quotidiana - primo fra tutti l'innominabile "Il social network" - possiamo capire così facilmente come le immagini influenzino e a volte determinino, molte delle nostre relazioni con l'altro.
Quando scelgo le foto del mio profilo o gli abiti da indossare, agisco sulla mia comunicazione, potremmo dire, quasi come pubblicitario di me stesso. E se facessimo questa operazione -come tra l'altro chi ci lavora, attori, artisti e altri professionisti già fa - con la stessa abilità con la quale opera un pubblicitario, ci chiederemo come lui, prima di ogni campagna: "Che cos'è che vogliamo comunicare?". Vedremo come questa semplice autopercezione ci eviterebbe spiacevoli incomprensioni o semplicemente ci aiuterebbe ad ottenere, dalle relazioni con l'altro, quello che vogliamo veramente e se questo è importante lavorativamente quanto più lo sarà amorevolmente?
Quanto spesso ci chiediamo se la comunicazione da noi scelta sia in accordo con i nostri più intimi desideri? Molto spesso agiamo incosciamente assumendo su noi stessi quello che percepiamo come piacevole e di successo senza pensare a quello che portiamo intimamente dietro questo piacevole apparente.
Allora per assicurarci che la nostra comunicazione lavori per noi, più che contro di noi, sarà utile riflettere sulle immagini che più ci piacciono e che incosciamente poniamo nell'armadio del personale delle nostre attitudini e comunicazioni e su cosa effettivamente esse comunicano fra le figure, visto che non essendo un testo non possiamo dire fra le righe.
Tutto ciò potrebbe portarci al doloroso abbandono di un appellattivo che ha mostrato una grande capacità di trasformazione - una volta dispreggiativo nel suo significato, oggi indice di grande affermazione - quello di "fashion victim" per cui pensandoci bene, partendo dal significato delle sue stesse parole, a chi piace essere vittima, quando vittime se mai ci facciamo per essere ancora più protagoniste?

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