mercoledì 9 febbraio 2011







"For 'tis the mind that makes the body rich;

And as the sun breaks through the darkest clouds,
So honour peereth in the meanest habit.
What is the jay more precious than the lark,
Because his fathers are more beautiful?
Or is the adder better than the eel,
Because his painted skin contents the eye?"

From The taming of the shrew by William Shakespeare










"E' lo spirito che fa ricco il corpo; e come il sole dardeggia attraverso le nere nubi, l'onore spunta sotto le vesti più meschine. E' forse la ghiandaia più preziosa dell'allodola, perchè ha le penne più belle? E mettiamo noi la serpe al di sopra dell'anguilla perchè ci rallegra l'occhio con la sua pelle variopinta?"

W. Shakespeare "La bisbetica domata"

martedì 8 febbraio 2011

The Black Swan - Cigno bianco o Cigno nero

E' possibile che sia così difficile individuare una via di mezzo che non sia un triste grigiume?
Certo per far le teorie, sono necessarie le astrazioni e così facendo spesso si perdono molte piccole distinzioni. E poi il bianco e il suo contrario il nero han fascino, si deve ammettere, proprio in quanto contrapposizioni. Se poi dobbiamo ragionare per opposizioni, a definire l'essere uomo e l'esser donna, di certo devono concorrere entrambe le direzioni.
In realtà, metaforicamente, se il nero è un pò un miscuglio di tutti i colori - e il pittore ne conosce bene gli spessori - nel bianco, di colori, non ce n'è più nemmeno uno. Allora, vien da chiedersi, dove sono tutte le restanti, infinite variazioni, dello spettro visibile, ossia dei colori?
Senza queste piccole considerazioni il bianco e il nero sembrano estremi di due povere conclusioni, che non vedono l'infinita varietà che li rende così testardi oppositori.
Cigno bianco, perfetto, intangibile e privo di emozioni, ma con seri problemi e le allucinazioni o cigno nero, tutto tenebra, passione, morte e imperfezione, senza la minima compassione?
Certo che anche la pittura e la letteratura non hanno contribuito così spesso ad allegerire queste due nette distinzioni, dipingendo e percependo la donna o angelicante o demonizzante e certamente molte le sono e potenzialmente lo son tutte, ma l'angelico non è l'angelo, per cui l'estremo a cui si tende non è necessariamente la sua identificazione.
Infatti possiamo anche dire, che una donna o è angelo o è donna e se è donna non è angelo, perchè questi non appartiene al genere umano in questione. E se la complessità dell'essere umano è così vasta da includere in sè il potenziale di tutti i colori, compresa la loro assenza e la loro totale aggregazione, non considerarli più emergenti dei suoi estremi è un errore facile a far distogliere l'attenzione. Su cosa? Su ciò che si ha sulla tavolozza in quanto uomini e donne, per poter dipingere senza troppe estremistiche distinzioni, il quadro della propria esistenza in accordo con una determinata essenza.

lunedì 7 febbraio 2011

Da 'Fashion victims' a 'Fashion activists'

Sappiamo che i mass media gestiscono la comunicazione. Si fa un così gran parlare dei suoi mezzi, ma essa non riguarda solo loro, quei belli utensili. La comunicazione permea tutti i tipi di relazione, per cui anche le nostre quotidiane, che siano di amicizia, di parentela o amore.
Il suo linguaggio ha per parole le immagini e come non sempre il significato di una parola risulta immediato alla prima lettura, così le immagini hanno i loro diversi gradi di comprensione e poi i codici, la simbologia e tutto il resto dell'informazione.
Mai come in quest'era, in cui molte delle nostre relazioni sono gestite dai mezzi di comunicazione quotidiana - primo fra tutti l'innominabile "Il social network" - possiamo capire così facilmente come le immagini influenzino e a volte determinino, molte delle nostre relazioni con l'altro.
Quando scelgo le foto del mio profilo o gli abiti da indossare, agisco sulla mia comunicazione, potremmo dire, quasi come pubblicitario di me stesso. E se facessimo questa operazione -come tra l'altro chi ci lavora, attori, artisti e altri professionisti già fa - con la stessa abilità con la quale opera un pubblicitario, ci chiederemo come lui, prima di ogni campagna: "Che cos'è che vogliamo comunicare?". Vedremo come questa semplice autopercezione ci eviterebbe spiacevoli incomprensioni o semplicemente ci aiuterebbe ad ottenere, dalle relazioni con l'altro, quello che vogliamo veramente e se questo è importante lavorativamente quanto più lo sarà amorevolmente?
Quanto spesso ci chiediamo se la comunicazione da noi scelta sia in accordo con i nostri più intimi desideri? Molto spesso agiamo incosciamente assumendo su noi stessi quello che percepiamo come piacevole e di successo senza pensare a quello che portiamo intimamente dietro questo piacevole apparente.
Allora per assicurarci che la nostra comunicazione lavori per noi, più che contro di noi, sarà utile riflettere sulle immagini che più ci piacciono e che incosciamente poniamo nell'armadio del personale delle nostre attitudini e comunicazioni e su cosa effettivamente esse comunicano fra le figure, visto che non essendo un testo non possiamo dire fra le righe.
Tutto ciò potrebbe portarci al doloroso abbandono di un appellattivo che ha mostrato una grande capacità di trasformazione - una volta dispreggiativo nel suo significato, oggi indice di grande affermazione - quello di "fashion victim" per cui pensandoci bene, partendo dal significato delle sue stesse parole, a chi piace essere vittima, quando vittime se mai ci facciamo per essere ancora più protagoniste?