lunedì 31 maggio 2010

Hello Goodbye

Rispondo qui ad un chiarimento che mi è stato chiesto riguardo all'ultima entrata "When i'm 64" e con questo articolo si concludono le brevi considerazioni fatte fino ad esso sul sessantotto e la rivoluzione sessuale. Parlerò dunque di due cose: perché l'amore verso se stessi non è slegato anzi va di pari passo con l'amore verso l'altro, per rispondere al chiarimento richiesto; e poi perché dire una cosa, ma intenderne un altra o non dirla affatto, significa innescare una bomba ad orologeria, perdendo di vista il timer.
Partiamo dalla prima: amare se stessi vuol dire prendersi cura di , ascoltarsi nei propri bisogni e necessità. Amare se stessi vuol dire tenere alla propria vita nella sua totalità a cominciare dalla propria corporeità. Amare l'altro vuol dire donarsi come un bene liberamente all'altro e lasciarsi amare dall'altro mentre noi ricambiamo amando l'altro, tanto che nella reciprocità non sono più io che amo me stesso, che mi prendo cura di me, che mi ascolto nei miei bisogni e necessità, ma è l'altro che lo fa per me, mentre io lo faccio per lui. Nel momento in cui dono me stesso all'altro, mi consegno come qualcosa di molto prezioso, bello e intatto pur nelle sue fragilità, ma se non mi prendo cura di me stesso, se mi maltratto fisicamente e mentalmente, se sono arrivato ad odiarmi per alcuni errori che ho commesso, e ad identificarmi con essi tanto che non ho più fatto un errore, ma sono io stesso un errore, ecco che dono all'altro qualcosa di molto prezioso, ma proprio da me stesso maltrattato e sottovalutato. E' vero che a volte l'esperienza d'amore che ci viene dall'altro è proprio quella di sentirci amati come nessun altro aveva mai fatto prima, di scoprirci amati e grati per l'amore dell'altro e questo può portarci a cominciare ad amare nuovamente noi stessi, proprio perché un altro ci ama. Nessuna delle due strade ha priorità sull'altra, l'amore tocca e cambia intimamente da qualunque parte arrivi. Logicamente però si può comprendere come una volta trovato l'amore della propria vita, il desiderio sia quello di consegnargli il meglio di noi. A questo punto sento io necessario un altro chiarimento: consegnare un se stesso amato, non vuol dire essere rimasti intatti ai colpi duri che può infliggere una grande sofferenza, subita o causata, vuol dire aver fatto di quella sofferenza un trampolino di lancio per saltare ancora più in alto, e per fare questo bisogna imparare a perdonarsi e credere nuovamente in se stessi, nel proprio valore intrinseco, nella propria capacità di amare e amarsi, non per quello che facciamo, ma per quello che possiamo fare se impariamo dai nostri errori. Oggi il benessere per il benessere stesso, ci induce ad allontanare, ma soprattutto negare - e questo è il vero danno - la sofferenza. A soffocarla rimpinzando vuoti, di piaceri, fino a che anche il piacere stesso ci disgusta o lo usiamo per farci del male, invece che farci del bene. La sofferenza non va evitata o sepolta viva, va affrontata, perchè è proprio quel muro che una volta superato ci insegnerà ad amare l'altro e noi stessi. A volte, purtroppo, pensiamo che ci siano sofferenze che abbiamo subìto o inflitto - il tradimento per esempio - a cui non possiamo più rimediare. La maggior parte di noi, non fa del male all'altro perchè vuole, ma perchè ci si ritrova e non sa come mai. Perdonare se stessi, non identificandoci con il male che abbiamo arrecato all'altro è il primo passo per avere la forza di accettare i propri errori - amandoci - e vedere si con le lacrime, ma con chiarezza, cosa ci ha portato a farli, e spesso sono proprio le cose, che non vogliamo dire a noi stessi o all'altro che ci portano a fare questi errori.
Ecco che veniamo al secondo punto: le cose che non diciamo, le nostre fragilità, le nostre debolezze più intime, le cose che ci scopriamo capaci di pensare, di voler fare e a volte di ritrovarci a fare e ci fanno vergognare, non le vogliamo vedere, le consideriamo il nostro lato oscuro che l'altro non può e non deve conoscere, e questo pensiero lo continuiamo ad alimentare in noi, in piena solitudine con noi stessi. Tutto ciò ci chiude in noi stessi, ci concentra totalmente su noi stessi, in una forma contraria a : ci siamo sempre e solo noi in positivo o in negativo. Tutto ciò ad alcuni potrà sembrare un eccesso, in realtà è il potenziale di ogni piccolo dramma, non affrontato, non superato e peggio ancora nascosto. Allora nascondiamo di non essere del tutto soddisfatti della nostra vita, del lavoro o degli affetti, "perchè dirlo all'altro? lui mi ama, dicendolo lo farò soltanto soffrire" - e qui produciamo il primo dispositivo per la bomba, nascondiamo per mancanza di fiducia nell'amore dell'altro "se lo sapesse non mi amerebbe più" - e la fiducia è proprio questo, sperare ed accettare la comprensione dell'altro. Dire la verità a se stessi e all'altro è una forma elevatissima di rispetto e di fiducia in se stessi e nell'altro. E le cose non dette con parole escono fuori in altre forme - malattie psicosomatiche, alcune forme di depressione, anoressia e bulimia - e il circolo vizioso che ci porta ad odiare se stessi ci fa odiare anche coloro per cui abbiamo nascosto quei piccoli drammi così la bomba esplode e la maggior parte delle volte non si sa il perchè, perchè il piccolo dramma, o la piccola insoddisfazione si è fatta gigante per la mole di cose che gli abbiamo accumulato sopra.
Tutto ciò è quello che nessuno mai vorrebbe per se stesso, tanto meno per l'altro, così che il giusto amore per stessi va di pari passo con l'amore per l'altro e la verità è la sua forma privilegiata. Anche oggi ci sono delle guerre e sono tutte "psichedeliche" come quella in Vietnam e non si combattono solo in territori geografici, ma dentro ognuno di noi e ci gridano che il modo migliore per cercare la pace è farla prima o al più presto con noi stessi, per offrirla poi anche agli altri.


di Federica Colombo

lunedì 17 maggio 2010

When i'm 64

"Mi amerai ancora quando avrò sessantaquattro anni?". Quando inizia un amore, non c'è dubbio che vorremmo durasse in eterno. Ma oggi come oggi, guardiamo a questo intimo desiderio come ad un utopia, un bell'ideale si, ma irraggiungibile, non tanto più solo per l'altro - mi sarà fedele? - ma ancora più per se stessi - gli sarò fedele? - perchè così tanta sfiducia? Consideriamo l'amore solo come un sentimento,il sentimento che mi conduce ora verso uno, ora verso l'altro, mi storidisce nel suo andare e dondolando inatanto, piano piano raschia il terreno di fiducia, quel terreno che dovrei coltivare per far si che nasca l'amore vero e duraturo. Dal momento che spesso ci scegliamo un pò come dei pasticcini, buoni da gustare, ma appena passa la voglia di cioccolata, arriva quella della crema, è normale che io non chiederei mai alla mia voglia di cioccolata di essermi fedele in eterno, perchè sò che è una voglia e per sua natura segue una guida dondolante. Allora di fronte alla mia ferma risoluzione di amare e di amare fino alla fine, a chi chiederò di aiutarmi a restare fedele a quell'amore che sto per scegliere per sempre? Forse c'è una volontà nell'essere molto forte, che è capace di accendere un fuoco anche quando si è spento. E forse è proprio, dell'amore, quell'aspetto che è tutto nostro, che ci compete più precisamente. Se amo, perchè qualcosa mi induce a farlo, quel qualcosa ha merito quanto me di quell'amore, mentre se amo indipendentemente da quel qualcosa, il merito per l'amore messo in campo è tutto mio, o almento in gran parte. La mia voglia è diventata volontà per cui non voglio la persona che ho scelto solo perchè soddisfa delle mie voglie, ma perchè ho scoperto che è parte di me ed anzi è così grande in me che se non c'è io non ci sono più, e per questo la voglio e la voglio così tanto nella mia vita che sono capace di fare di tutto per riaccendere quel fuoco, che sembra oggi estinto. Certo una volontà così è una volontà che ha fiducia prima di tutto in se stessa, nel potere che ha di partecipare a questa forza che lo invade e che è amore. L'esperienza d'invasione dell'amore è ciò che ci spinge a ricercarlo ed è la stessa che ci spinge ad alimentarlo e a ritrovarlo una volta perduto. Ecco nuovamente la volontà di amare che è tutta nostra. Ecco che nella danza dell'amore mentre prima dominano nella scena i sentimenti, le luci i bagliori che nascondono tutte le ombre e i difetti, arriva il momento del ballo unico della volontà, che nel buio vede il suo amore così com'è e nuovamente lo sceglie con vero amore, perchè l'amore che prova è più grande dei difetti dell'oscurità che vede. Un amore capace di amare anche nel buio della nostra debolezza, non è un amore che ci dà fiducia? Quanto ci è difficile, aprirci all'altro, spogliarci interiormente per mostrarci per quello che siamo veramente, senza nascondere anche i più piccoli difetti, limiti e debolezze, dentro maschere ingobranti che tanto prima o poi ci sfuggiranno di mano. Ci è molto difficile perchè abbiamo paura che l'altro non ci possa più o smetta di amarci appena scopra chi siamo veramente. Ma quella che è la mia interiorità come potrò mascherla? O crearle un ambiente idoneo in cui si sveli? L'ambiente di fiducia è una luce che emana un calore che mi permette di non aver paura di mostrarmi per tutto quello che sono e così finalmente incontrare l'altro nella verità di me stesso, senza finzioni.
Spesso costringiamo un amore, a nascere in un ambiente ostile, dove non ci sia un clima di fiducia nè nell'altro, nè in me, nè nella potenza dell'amore stesso, capace di legare e tenere insieme due esseri in eterno. Spesso giriamo nel mondo alla ricerca di un amore unico che non ci abbandoni mai, perchè sappiamo che il nostro essere va così al di là anche di noi stessi che già far intraprendere questo viaggio ad uno soltanto è tanto. Altrettanto spesso però ci inganniamo, perchè non vogliamo restare delusi - non vogliamo soffrire - che una persona che ci possa amare per sempre, così come siamo, non esista, e i primi a confermarlo siamo noi stessi - neanch'io sono capace di amarmi così come sono, come potrebbe amarmi un altro? - eppure quella voce che dentro di noi ci spinge a cercare l'amore non si accontenta di promesse passeggere, non si "spoglia"intimamente senza fiducia, non è capace gisutamente di donare tutto se stesso, dopo un incontro di qualche ora e continuamo a soffrire e a vivere continue delusioni, perchè quella voce non si accontenterà mai di mezzi amori, ne vorrà continuamente uno solo e per sempre.

lunedì 10 maggio 2010

Help!


In occasione della Biennale di Architettura del 2008, il gruppo olandese DroogDesign presentò, all'Arsenale di Venezia, l'istallazione dal titolo "S1ngletown"(1). Una serie di manichini, isolati ognuno sotto il proprio occhio di bue, etichettati secondo vari "status di singletudine" - opportunista globale, vedova indipendente, appena divorziato, ect - abitanti ciascuno di un proprio spazio, senza nessuna possibile o stabile comunicazione con l' altro. Lo status "Alone, together", per esempio, lavora in uno studio di design molto alla mano, vive da solo in una casa costruita espressamente per single, celebra il programma delle pulizie per mantenere puliti ed in ordine gli spazi comuni e crede nella collaborazione tra singles, ma alla fine vive solo pur vivendo insieme ad altri. Chi di noi ha fatto un esperienza come studente erasmus o fuori sede, può facilmente riconoscere questo spazio di solitudine che si crea a volte pur vivendo insieme ad altri, perchè alla fine è molto difficile cercare di incastrare le varie "libertà" e abitudini, capire o sopportare le "invadenze" dell'altro - quello che per uno è "una questione di rispetto" per l'altro è "rivendicazione fondamentale della propria libertà" - e si finisce col fare del frigorifero un cavò. Ciascuno imperatore unico e suddito solo di se stesso, rivendica il proprio sistema di regole che tutti devono insindacabilmente rispettare, in un anarchia di comportamenti liberali, che si rivela essere una trama di regole su regole, per cui ogni nuovo inquilino porta le sue nuove regole, e ogni violazione al sistema di libertà è dichiarazione di guerra e attacco ad personam, perchè ognuno si identifica con il proprio sistema di regole (la tautologia della frase collabora a rendere inquietante l'idea). In un clima del genere è facile sentirsi soffocare e decidere di prendere in affitto una casa tutta per , o troncare una relazione alla prima crisi, per ritrovarsi poi nuovamenti liberi ma soli. Come dice il protagonista di About a boy - citando il testo di una canzone di Bon Jovi - "No man is an island" e tutta questa battaglia per la "libertà assoluta", ci l'allontana sempre di più dall'altro e, ci chiude nei nostri egoismi, ma non riesce a zittire il pronfondo desiderio di condividere la nostra libertà con un altro, di accogliere una presenza diversa da noi stessi nel nostro piccolo isolotto. Per alcuni questa esperienza di solitudine affettiva, può essere così dolorosa da portarli a spodestare totalmente il proprio "io imperatore", per accogliere totalmente quello dell'altro e convertire l'amore in dipendenza e spersonalizzazione. Per altri significa trovarsi affetti e consolazioni non umane - "il mio ragazzo è il mio lavoro", "il mio migliore amico è il mio cane lui almeno non mi tradisce" - e per quanto possiamo felicemente amare un lavoro o un cane questi non sono mai delle persone e ripiegare non è mai una soluzione, ma sempre una condanna a mezza soddisfazione. Per non finire come i protagonisti dei film di Lars Von Trier - che ingannati e manipolati per la loro "ingenua" bontà o sono condannati a morte o diventano più cattivi e spietati dei propri carnefici(2) - diventa basilare trovare quell'equilibrio, che ci porti a ridimensionare il nostro "io" per accogliere l'altro, rimanendo però fedeli alla profonda verità su stessi. E questa non si identifica con il nostro sistema di regole, ma con il nostro essere liberi e relazionali allo stesso tempo, senza che le due cose entrino in contraddizione tra di loro. Solo così è possibile sperimentare la libertà nell'amore, che non è rivendicazione dei propri diritti sull'altro, ma scoperta e significato sempre nuovo del nostro essere in relazione con l'altro, pur nella piena realizzazione e affermazione di . In questo modo la mia libertà si dilata per e verso l'altro, e mentre include il suo spazio nel mio, si assicura anche il proprio spazio, in quell'ambiente di fiducia e calore che chiamiamo amore. Nonostante le previsioni che nel 2026 un terzo della popolazione che vive nelle metropoli abiterà da sola, penso che le grida degli abitanti di singletown saranno presto ascoltate: "When i was younger, so much younger than today, I never needed anybody's help in any way. But now these days are gone, i'm not so self assured...My indipendence seems to vanish in the haze, i know that i just need you like i've never done before" quello che ci serve ora, è solo rinquadrare interiormente due concetti: quello di "libertà" e "amore" .




Indipendent Widow
Works her mind at the brain gym

Lives far away from her kids and grandkids
Celebrates software which allows free calls over the internet

Believes that older people can live safely alone

Seasoned Professional
Works where he lives
Lives where he works
Celebrates local artist by showcasing their work at his home art gallery
Believes that everyone is ultimately answerable to only one boss: t
hemselves

[in alto a destra]
Recently Divorced
Works nine to v.
Lives alone (after decades with a family)

Celebrates new-found freedom, but also struggle with loneliness
Believes in the possibility of another long-term, stable relationship
[in basso a sinistra]
100K+ Exec
Works hard 24/7
Lives in the office and on the plane
Celebrates nano-tech, wrinkle-free (clothing) perfect for traveling
Believes in running a home like a business, by automating and outsourcing everything


Global Opportunist
Works on remaining a student for as long as possible
Lives wherever his studies take him
Celebrates freedom
Believes one day he will settle down. Maybe.



(1) http://www.s1ngletown.org/

(2) La protagonista di Dogville, Grace, per sfuggire da un destino di dominazione sugli altri, perchè figlia di un famoso gangester, permette qualunque meschinità agli abitati di una piccola comunità, pur di accettarli così come sono, e una volta sfruttata e violentata da coloro che aveva deciso di redimere con il suo "amore", ritorna dal padre per chiedere vendetta.

di Federica Colombo

venerdì 7 maggio 2010


UV+ CP Unum Velle e Centro Pascal
Pascal Film'n'Food sul film di Ang Lee
"Taking Woodstock"


"A generation began in his backyard". Il protagonista Elliot Tiber designer di New York, costretto a tornare a casa in periferia, per aiutare i genitori a gestire il loro piccolo motel, sente alla radio che il paese vicino ha negato, ad un festival di musica hippie, il permesso di occupare il loro terriotorio. Elliot vedendone un affare per il proprio motel, offre la sua disponibilità ai produttori. Dopo tre settimane, il suo motel è invaso da mezzo milione di persone dirette verso la fattoria di White Lake (NY), ed Elliot si trova travolto in un esperienza che cambierà la sua vita e definirà una generazione. Quali sono stati gli effetti di quei propositi tanto allettanti, di pace e amore propugnati da tutta una generazione?

Giovedì 13 Maggio ore 13.45
(Aula Tesi)
presso l'Università Europea di Roma in Via degli Aldobrandeschi 190, 00163 Roma

lunedì 3 maggio 2010

Nowhere Man

L'uomo diviso in se stesso è un uomo che non appartiene a nessun luogo. Come i non-luoghi di Marc Augè, sono privi di identità, relazionalità e storia, negare queste tre caratteristiche all'essere equivale a negarlo in sè. Tra gli slogans di quegli anni, scritti sui muri di Parigi, appaiono esemplificativi di un viaggio verso questo non-luogo del sé i: "Siate bravi e crudeli antropofagi"; "Frontiere = repressione"; "Delle frontiere ce ne freghiamo"; "La libertà del prossimo, estende la mia all'infinito"; "Riconquistiamo l'individualità. Viva il furto"; "Che cosa è un maestro, un dio? l'uno e l'altro sono l'immagine del padre e svolgono una funzione oppressiva per definizione"; "Ne maestro ne dio. Dio sono io"; "Non è soltato la ragione di millenni che esplode in noi, ma la loro follia. E' pericoloso essere ereditieri";"La cultura è una bolla di sapone". Dopo aver reciso ogni legame con il passato, ucciso qualunque forma di "paternità" e sconfinato la propria libertà su quella degli altri, l'antropofago - che ricorda tanto l'immagine dell'Uroboro, il serpente che si morde la coda, usato da Nietzsche in Così parlò Zarathustra - rimane da solo con se stesso, e lì non c'è che annoiarsi in un "eterno ritorno dell'uguale", e morire sotto il peso angosciante di una storia che si ripete tornando sempre al "grado zero", imponendomi una riscrittura totale, globale negandomi di volta in volta le basi su cui ricominciare. E se ogni volta neghiamo le basi, su quali basi ricostruiremo? Su basi sicuramente diverse, ma pur sempre basi. L'importante è che ci sia una base e che questa sia buona.
La frontiera, il confine, se significa limite che distingue l'identità di ciò che è altro da me, diventa fonte di mistero e oggetto di conoscenza, che mi fa uscire da me stesso, in modo che il dimenticarmi di me, non sia un negarmi, ma un aprirmi a ciò che mi è simile in dignità, ma diverso in identità. Ed è così dall'incontro con l'alterità che si può generare la novità e uscire dalla noia sartriana. L'uomo diviso in se stesso è l'uomo che per abitare tutti i luoghi - estensione del sè - finisce col non abitarne alcuno e per vincere il senso di angoscia del vuoto che ha ormai dentro di sè - l'inquietante "grado zero" - si rifugia nell'onirico, nell'apatia che lo allontana proprio da quella realtà che dovrebbe e potrebbe riscrivere con coraggio. L'uomo oggi, non ha forse bisogno di sentirsi dire che non è una bestia, che è fatto per cose grandi, che viene da un luogo e va verso un altro luogo, in cui la sua identità non si divide, nel divenire, ma si compie e si arricchisce in continuità con l'essere? Non un superuomo, incurvato sotto il peso di farsi dio di se stesso e degli altri, ma semplicemente e meravigliosamente uomo, capace di dialogare con il proprio passato senza ucciderlo, cogliendone con intelligenza il buono costruito dai suoi predecessori e capace di rimodellare coraggiosamente se stesso e non riscriversi continuamente, in una lotta michelangiolesca con l'idea di vero uomo insita nel marmo del genere umano. Così l'uomo scultore, e non distruttore, si proietta verso un divenire che lo conduce continuamente alla novità e allo stupore, in un clima di responsabilità - nel senso etimologico di risposta - verso il presente, resa possibile da una rinnovata fiducia in se stessi come genere umano. Io credo nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, non dio di se stesso, capace di guardarsi allo specchio senza romperlo, perchè al di là della sua triste e possibile frammentazione, vede il proprio potenziale relazionale e identitario, vede la sua grande capacità d'amare.

di Federica Colombo