sabato 3 luglio 2010

Excursus storico: l'ornamento prima cosa ha detto

"Ogni civiltà e ogni periodo concepiscono il corpo in maniera diversa assegnando significati simbolici a determinate sue parti" (Dorfles-Vattese). L'abito è icona dei tempi. Non sono sempre gli stilisti a determinare cosa indosseremo. In fondo loro fanno semplicemente delle proposte, siamo noi poi a scegliere cosa ci rispecchia maggiormente, cosa definisce il nostro stato d'animo più degli altri o i nostri più intimi desideri in un determinato periodo storico, sotto determinate influenze e circostanze. Alla fine sono gli stilisti a seguire il nostro gusto.
"Nella specie animale di solito è il maschio a recare configurazioni più spettacolari per attirare la femmina, la razza umana ha sovente ribaltato questi ruoli: quasi ovunque è alle donne che spetta il primato dell'ornamento, ma il modo in cui ciò è accaduto mette in luce la relatività delle consuetudini" (Dorfles-Vattese). Un discorso sull'ornamento e la corporeità non può e non deve interessare solo la donna, perchè è tra i due che si instaura una comunicazione, i cui codici - perchè questa sia efficace - dovrebbero essere ben chiari ad entrambi. L'analisi di come questi siano stati usati in passato è l'oggetto di questo breve excursus, prima di iniziare l'analisi del nostro codice ornamentale contemporaneo.

Anni 10 cappelli giganteschi, gonne lunghissime fino a coprire le caviglie, non sono certo ornamenti adatti a certi luoghi di lavoro.


Anni 20-30 già si può cominciare a notare un desiderio di mascolinità e indipendenza, nelle pettinature, nei tagli corti, nei cappelli che si ristringono ad incorniciare il volto, a cui si dà più importanza perchè lo sguardo della donna è alla ricerca di un ruolo più rilevante nella società. Con in mano una sigaretta lunguissima, tra le nuvole di fumo, su i tavoli dei grandi del mondo, dice la sua, senza rinuciare alle proprie armi di seduzione, che comincia ad usare non solo per conquistare il proprio amato, ma anche per raggiungere scopi personali nei luoghi di potere in cui si aggira. I tagli degli abiti si razionalizzano, "posso anch'io ragionar con voi tra le mie forme", sembra affermare la donna di quegli anni, in una comunicazione di sè, che cerca un dialogo più paritario con luomo.


Negli anni 40 sono di nuovo sole, costrette ai lavori anche più duri, mentre i mariti e i figli maschi più grandi sono chiamati alla guerra.


Anni 50 ritorna la pace, i colori pastello, le ampie gonne per ballare. I mariti sono tornati a casa. Le famiglie riescono a riunirsi felicemente davanti a qualunque cosa, che sia pure una scatola parlante. I seni riemergono incorniciati. Compaiono i primi tacchi a spillo. La seduzione veste fino ai piedi.


Anni 60
riemege il desiderio di indipendenza dei primi del novecento. Il tailleur, abbigliamento di lavoro maschile, ora è anche negli armadi delle donne. Nasce la prima minigonna, questa introdotta dalla stilista Mary Quant, ma definitivamente scelta da una donna che si scopre sempre di più, che si vuole togliere di dosso quegli imperativi formali, che la costringono in un ruolo che non sente più di voler assolvere (o deve ancora necessariamente assolvere?). E' una donna giovane e confusa, sta cercando l'uguaglianza nei diritti con gli uomini e comincia con l'uniformarsi ad essi nell'abbigliamento, ma questo è solo un ornamento e non realizzerà pienamenta la sua profonda sete d
i uguaglianza.


Anni 70
non ci sono più tante differenze tra i capi maschili e femminili, tutti, adulti, giovani e bambini, hanno finalmente un capo in comune: i blue jeans.


Anni 80 il desiderio di uniformità nell'abbigliamento dell'uomo e della donna culmina nei pantaloni larghi, nelle spalle allargate di giorno nei luoghi di lavoro, mentre di sera si torna a sedurre in aggressivi tagli squadrati.


Anni 90 le forme si am
morbidiscono, prevale lo stile casual, abbonda il tempo libero.


"I mutamenti negli stili rispecchiano quasi sempre cambiamenti profondi nella mentalità" (Dorlfles-Vattese). Oggi guardandoci intono, cominciando dagli ornamenti, cosa possiamo dire sulla nostra mentalità?

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