lunedì 3 maggio 2010

Nowhere Man

L'uomo diviso in se stesso è un uomo che non appartiene a nessun luogo. Come i non-luoghi di Marc Augè, sono privi di identità, relazionalità e storia, negare queste tre caratteristiche all'essere equivale a negarlo in sè. Tra gli slogans di quegli anni, scritti sui muri di Parigi, appaiono esemplificativi di un viaggio verso questo non-luogo del sé i: "Siate bravi e crudeli antropofagi"; "Frontiere = repressione"; "Delle frontiere ce ne freghiamo"; "La libertà del prossimo, estende la mia all'infinito"; "Riconquistiamo l'individualità. Viva il furto"; "Che cosa è un maestro, un dio? l'uno e l'altro sono l'immagine del padre e svolgono una funzione oppressiva per definizione"; "Ne maestro ne dio. Dio sono io"; "Non è soltato la ragione di millenni che esplode in noi, ma la loro follia. E' pericoloso essere ereditieri";"La cultura è una bolla di sapone". Dopo aver reciso ogni legame con il passato, ucciso qualunque forma di "paternità" e sconfinato la propria libertà su quella degli altri, l'antropofago - che ricorda tanto l'immagine dell'Uroboro, il serpente che si morde la coda, usato da Nietzsche in Così parlò Zarathustra - rimane da solo con se stesso, e lì non c'è che annoiarsi in un "eterno ritorno dell'uguale", e morire sotto il peso angosciante di una storia che si ripete tornando sempre al "grado zero", imponendomi una riscrittura totale, globale negandomi di volta in volta le basi su cui ricominciare. E se ogni volta neghiamo le basi, su quali basi ricostruiremo? Su basi sicuramente diverse, ma pur sempre basi. L'importante è che ci sia una base e che questa sia buona.
La frontiera, il confine, se significa limite che distingue l'identità di ciò che è altro da me, diventa fonte di mistero e oggetto di conoscenza, che mi fa uscire da me stesso, in modo che il dimenticarmi di me, non sia un negarmi, ma un aprirmi a ciò che mi è simile in dignità, ma diverso in identità. Ed è così dall'incontro con l'alterità che si può generare la novità e uscire dalla noia sartriana. L'uomo diviso in se stesso è l'uomo che per abitare tutti i luoghi - estensione del sè - finisce col non abitarne alcuno e per vincere il senso di angoscia del vuoto che ha ormai dentro di sè - l'inquietante "grado zero" - si rifugia nell'onirico, nell'apatia che lo allontana proprio da quella realtà che dovrebbe e potrebbe riscrivere con coraggio. L'uomo oggi, non ha forse bisogno di sentirsi dire che non è una bestia, che è fatto per cose grandi, che viene da un luogo e va verso un altro luogo, in cui la sua identità non si divide, nel divenire, ma si compie e si arricchisce in continuità con l'essere? Non un superuomo, incurvato sotto il peso di farsi dio di se stesso e degli altri, ma semplicemente e meravigliosamente uomo, capace di dialogare con il proprio passato senza ucciderlo, cogliendone con intelligenza il buono costruito dai suoi predecessori e capace di rimodellare coraggiosamente se stesso e non riscriversi continuamente, in una lotta michelangiolesca con l'idea di vero uomo insita nel marmo del genere umano. Così l'uomo scultore, e non distruttore, si proietta verso un divenire che lo conduce continuamente alla novità e allo stupore, in un clima di responsabilità - nel senso etimologico di risposta - verso il presente, resa possibile da una rinnovata fiducia in se stessi come genere umano. Io credo nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, non dio di se stesso, capace di guardarsi allo specchio senza romperlo, perchè al di là della sua triste e possibile frammentazione, vede il proprio potenziale relazionale e identitario, vede la sua grande capacità d'amare.

di Federica Colombo

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